Ed eccoci di nuovo, come avevamo promesso, col Professor Giulini. Questa volta per parlare della sistemazione arborea di Via Facciolati. Fino agli anni ’80 del secolo scorso ornata da pioppi cipressini, oggi impreziosita da una dozzina di specie diverse, tanto che si potrebbe definirla una sorta di arboreto.
Poiché il blog dopotutto nasce come un diario personale, mi sia concesso ritornare col pensiero ai primissimi anni Ottanta del secolo scorso, quando, agli inizi della mia carriera lavorativa, mi recavo ogni mattina da Padova a Chioggia con la corriera Siamic che passava proprio da Via Facciolati. Osservavo quei pioppi dal finestrino e avevo finito col conoscerli uno ad uno. Poi il mio lavoro mi portò altrove, ma ricordo che fu un grande dolore scoprire, qualche anno dopo, che erano stati tutti tagliati.
Premessa: le specie presenti























L’intervista

Professore cosa vi spinse a cambiare completamente l’aspetto della strada sostituendo tutte le piante presenti? Per spiegarne le ragioni, è necessario capire come è fatto un Pioppo cipressino. Una pianta che cresce dritta e affusolata, senza alcuna difficoltà a raggiungere i quaranta metri d’altezza. La chioma è contenuta in larghezza, ma le altezze che l’albero ben presto raggiunge creano allarme, perché si vedono le chiome incombere sui tetti. Così, anche se la paura non è giustificata, si pretende di contenerne la crescita, e quello che immancabilmente si fa è tagliare la cima (capitozzare). La poverina ricaccia rami e ricresce in altezza, e così la si taglia ancora, e ancora. Ogni taglio indebolisce la pianta sia strutturalmente, sia nella capacità di contrastare gli agenti patogeni.
Era questo lo stato in cui versava il doppio filare di Via Facciolati? Un po’ come per i platani del Prato prima dell’arrivo del cancro colorato? Sì. Inoltre si erano avuti episodi che avevano spaventato gli abitanti, un ramo cadde e una signora si fratturò una gamba. Per farla breve le autorità comunali si rivolsero a me per trovare una soluzione. Fu così che mi si presentò l’opportunità di realizzare un’idea che in quel periodo era maturata nella mia mente. Erano gli anni in cui cominciava a emergere il concetto di biodiversità, e forse condizionato da quest’idea andavo riflettendo su cosa potesse significare in un contesto urbano mettere insieme, in uno stesso luogo fisico intendo, specie arboree diverse.

Il classico ragionamento per analogia, dunque? Sì, la mente fa percorsi strani… Pensi alla flora spontanea lungo un fiume o un fosso, e, in particolare, a quanti alberi diversi si susseguono. Mi è sempre piaciuto immaginare il viale urbano come una interpretazione di viale boschivo; una interpretazione infinitamente meno ricca si intende.

Beh, però dal punto di vista estetico non è proprio la stessa cosa. Certo che non è lo stesso, cambia tutto. Ma forse lei voleva dire che l’estetica ci rimette? Un po’ sì, non le pare? Forse, ma i gusti cambiano, e in qualche modo si educano. Inoltre c’erano altri fattori che andavo considerando in quegli anni. Per i filari monoculturali succede questo: ad un certo punto della loro vita, diciamo, tanto per fare un esempio, 150 anni nel caso dei cipressini, sono tutti da sostituire contemporaneamente. Ci sono poi le patologie specifiche di ogni specie, che quando colpiscono impongono la sostituzione simultanea. E poi anche lungo una stessa via non c’è uguale spazio dappertutto, voglio dire: lì c’è un alto palazzo incombente; più in là una abitazione bassa; in un certo tratto il parcheggi di un supermercato; altrove un incrocio piuttosto ampio; e tante altre situazioni, le più disparate.

Dunque, scegliere l’albero in relazione allo spazio disponibile? Sì, ma, ribadisco, ancora più importante, poter applicare il concetto di disetaneità. Il fatto di avere piante con durata della vita diversa perché di specie diversa, permette di mantenere un viale nella sua interezza, non avremo mai una strada spelacchiata perché tutti gli alberi sono morti. Un altro concetto rilevante è quello di eterogeneità, che riguarda sia l’aspetto estetico: poter prolungare il periodo della fioritura nel viale grazie al fatto che specie diverse fioriscono in periodi diversi; o ancora, poter godere delle livree autunnali dai colori più vari. Sia, soprattutto, le patologie: se una specie è colpita da un agente patogeno, si deve sostituire solo un ristretto numero di piante.

Così non prova neanche un po’ di rimorso per aver disposto l’uccisione di piante che avrebbero potuto vivere ancora qualche anno, o forse qualche decennio? Pena sì, rimorso no; si sarebbero tutte ammalate da lì a poco, come ho cercato di spiegare. L’errore, il grave errore!, è piantare specie arboree sbagliate nei posti sbagliati.