Gli alberi del Dantedì

Prima di cominciare la lettura, potete far partire questo video dalla durata di qualche minuto, tratto da You Tube. Lo si può intendere come una sorta di colonna sonora del post; il madrigale di Luca Marenzio: Così nel mio parlar voglio esser aspro, su testo dall’omonima poesia di Dante, mi sembra che bene possa accompagnare la lettura.

Per onorare anche in questo blog il giorno dedicato a Dante (Dantedì: 25 Marzo), ho pensato di accostare le occorrenze dei nomi degli alberi nella Divina Commedia alle foto degli esemplari che vivono in città. I nomi propri degli alberi non ricorrono numerosissimi nel poema, e quasi sempre non è la specie in sé l’oggetto di interesse, ma è piuttosto utilizzata per creare metafore o similitudini. Ma dopotutto gli alberi sono solo un pretesto per danteggiare un po’. (Vedi anche Dantedì 2021)

Alloro

Dante, “poeta laureato”, cerca l’aiuto di Apollo all’inizio dell’ultima Cantica.

O buon Apollo, all’ultimo lavoro
fammi del tuo valor sì fatto vaso,
come dimandi a dar l’amato alloro. (Paradiso, I, 13-15)
Giardino Treves. L’alloro, l’albero più scuro al centro, è sacro ad Apollo: se lo è conquistato con uno stupro mancato.
Bernini, Apollo e Dafne (Particolare), 1622-25, Galleria Borghese.
Il fiore maschile dell’Alloro.

Il dolce Fico

Siete voi qui, ser Brunetto? E’ il canto di Brunetto Latini, il suo venerato Maestro. E quello ricambia l’affetto in più modi. Nel passo che ci interessa: quella parte del popolo fiorentino, la più malvagia, che ha origini fiesolane e che ancora conserva modi montanari e rocciosi, ti si farà nemica a causa del tuo retto operare in politica. Giusto è così, perché non si conviene al Fico produrre il suo dolce frutto fra quelli aspri del Sorbo. Tra i diversi sorbi, Dante, quasi sicuramente, pensava al Sorbo domestico, albero purtroppo assente in città, almeno per quello che ne so.

Ma quello ingrato popolo maligno
che discese di Fiesole ab antico,
e tiene ancor del monte e del macigno,

ti si farà, pel tuo bel far, nemico;
ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi
si disconvien fruttare al dolce fico. (Inferno, XV, 61-66)
Poderoso Fico al Ponte San Leonardo
La caratteristica gemma di Ficus carica.

Quando il Gelso diventò vermiglio

Una barriera di fuoco separa Dante dal Paradiso terrestre. Virgilio lo sprona: solo questo muro ti separa da Beatrice. Immediata la similitudine con Piramo e Tisbe, amanti infelici e suicidi, separati da un muro vero, la cui triste e insanguinata fine sarà per sempre ricordata dal colore vermiglio dei frutti del gelso.

“Pon giù omai, pon giù ogni temenza;
volgiti in qua e vieni: entra sicuro!” .
E io pur fermo e contra coscienza.

Quando mi vide star pur fermo e duro,
turbato un poco disse: “Or vedi, figlio:
tra Beatrice e te è questo muro”.

Come al nome di Tisbe aperse il ciglio
Piramo in su la morte e riguardolla,
allor che il gelso diventò vermiglio;

così, la mia durezza fatta solla,
mi volsi al savio duca, udendo il nome
che ne la mente sempre mi rampolla. (Purgatorio, XXVII, 31-42)
Dante non specifica se Morus alba o nigra, ma è certo il secondo poiché l’altro si diffuse in Europa solo nel XVI secolo (dopo un suo ‘secondo arrivo’ dalla Cina). Splendido Morus nigra in un giardino privato a Saccolongo (PD).
Gelso bianco in Via Gaspara Stampa, giardino del Tito Livio.

I fioretti del melo

Una nuova similitudine questa volta coi fiori del melo per spiegare come e quanto gli angeli celesti siano desiderosi (ghiotti) di vedere Gesù. Il contesto è troppo vasto per essere qui spiegato a dovere: accontentiamoci di una sola terzina.

Quali e veder de’ fioretti del melo
che del suo pome gli angeli fa ghiotti
e perpetue nozze fa nel cielo, (Purgatorio, XXXII, 73-75)
Non ci sono meli comuni in città, i giardinieri preferiscono specie più esotiche: qui Malus floribunda (Melo giapponese da fiore) all’entrata del Parco Perlasca. Melo dalla fioritura esuberante, che Dante, per ovvi motivi, non poteva conoscere.
Malus domestica ai Giardini di Castel Trauttmansdorff a Merano, l’artista immagina i Progenitori intenti ad ingegnarsi per raccogliere i frutti dell’Albero della Conoscenza.

Le tempie ornate di mirto

Ancora un poeta. Tanto dolce il mio canto, che da Tolosa fui richiesto in Roma, dove meritai la corona di mirto. La gente in Terra mi chiama Stazio; Cantai di Tebe e di Achille [due opere molto apprezzate nel medioevo: Tebaide e Achilleide] ma morii prima di terminare il secondo lavoro.

Tanto fu dolce il mio vocale spirto
che, tolosano, a sé mi trasse Roma,
dove mertai le tempie ornar di mirto.

Stazio la gente ancor di là mi noma:
cantai di Tebe, e poi del grande Achille;
ma caddi in via con la seconda soma. (Purgatorio, XXI, 88-92)
Orto Botanico, un giovane Mirto nelle nuove serre.

Pino domestico

Dante si gode il Giardino dell’Eden in cima al Monte del Purgatorio. Un leggero vento orientale, certo dovuto al moto, da est verso ovest, della sfera della Luna che trascina con sé la sottostante sfera del fuoco e poi l’atmosfera, piega le foglie verso occidente. Venticello sì leggero, che non disturba gli uccelletti nel loro indaffararsi fra le fronde delle cime, proprio come succede nella Pineta di Classe (Ravenna) quando spira lo scirocco.

Un’aura dolce, senza mutamento 
avere in sé, mi feria per la fronte 
non di più colpo che soave vento;

per cui le fronde, tremolando, pronte 
tutte quante piegavano a la parte 
u’ la prim’ombra gitta il santo monte;

non però dal loro esser dritto sparte 
tanto, che li augelletti per le cime 
lasciasser d’operare ogne lor arte;

ma con piena letizia l’ore prime, 
cantando, ricevieno intra le foglie, 
che tenevan bordone a le sue rime,

tal qual di ramo in ramo si raccoglie 
per la pineta in sul lito di Chiassi, 
quand’Eolo scirocco fuor discioglie. (Purgatorio, XXVIII, 7-21)
Pini domestici al Giardino dei Tamerici in Via Nazaret.
La pineta di Classe, Pini domestici convivono con Pini marittimi.
Non sempre lo scirocco è così benigno, qui al Lido di Venezia nel Novembre 2019.

Il Pruno che incarcera Pier della Vigna

E’ il canto di Pier della Vigna morto suicida. Il paesaggio è sconsolante: una foresta di piante orribilmente contorte, dalle foglie di color fosco, e con spine al posto dei frutti. Dante, su consiglio di Virgilio, strappa un rametto e causa un dolore lancinante al poeta cortigiano ivi rinchiuso.

Non fronda verde, ma di color fosco; 
non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti; 
non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco: […] 


Allor porsi la mano un poco avante
e colsi un ramicel da un gran pruno;
e il tronco suo gridò: “Perché mi schiante?”. (Inferno, XIII, 4-6 e 31-33)

Il “gran pruno” potrebbe essere un rovo o biancospino, ma forse più probabilmente Prunus spinosa. In ogni caso anche se spinata, è questa una pianta gentile con fiori graziosissimi e frutti belli a vedersi.

Quercia

Paradiso, Canto XXII, l’invettiva di San Benedetto da Norcia che lamentandosi di quanto presto sia stata disattesa la sua regola, termina citando la quercia: là giù in Terra i buoni propositi non durano il tempo che va da quando nasce a quando fruttifica (30-35 anni). Quel è la specie che Dante ha in mente? Se adottiamo un criterio geografico (pensiamo alla sua Toscana), si va dal leccio alla farnia passando per rovere, roverella, cerro e sughera.

Quercus ilex
La carne dei mortali è tanto blanda, 
che giù non basta buon cominciamento 
dal nascer de la quercia al far la ghianda.
(Paradiso, XXII, 85-87)
Ottobre, Quercus robur al Parco Iris. Foto precedente: ghianda e foglia

Ulivo

Spiaggetta del Purgatorio; sbarco delle anime dal vascello dell’Angelo nocchiero. Quando le anime si accorsero dal mio alitare che ero ancora vivo, mi si appressarono, come tutte si accalcano le genti al messaggero che porta novelle di pace, quasi dimenticando il loro cammino verso la redenzione.

L’anime, che si fuor di me accorte, 
per lo spirare, ch’io era ancor vivo, 
maravigliando diventaro smorte.

E come a messagger che porta ulivo 
tragge la gente per udir novelle, 
e di calcar nessun si mostra schivo,

così al viso mio s’affisar quelle 
anime fortunate tutte quante, 
quasi obliando d’ire a farsi belle. (Purgatorio, II, 67-75)
Un ragguardevole Olea europaea in Piazza del Santo.

—– o —–

Sulla data del viaggio

Il giorno del Dantedì è stato scelto sulla base della data presunta dell’inizio del viaggio. Ci sono diverse congetture in proposito, una di queste indica il 25 Marzo 1300. Tutte le ipotesi contemplate dai dantisti ignorano sistematicamente le indicazioni astronomiche, a dispetto del fatto che Dante descriva dettagliatamente quello che vede nel cielo in molti luoghi del poema. Tuttavia, quasi a mo’ di involontario risarcimento all’Astronomia, la data del 25 Marzo è in pieno accordo con le indicazioni astronomiche, sebbene l’anno non sia quello, ma il 1301.

Pensando all’alba del 27 Marzo 1301 sulla spiaggetta del Purgatorio, ho sempre immaginato qualcosa del genere (mi son preso la libertà di aggiungere una stellina, il pianeta Venere, alla foto):

L’alba vinceva l’ora mattutina 
che fuggia innanzi, sì che di lontano 
conobbi il tremolar de la marina. (Purgatorio, I, 115-117)

Chi è interessato ad approfondire la questione della data del viaggio, può andare a questo articolo:

Aggiornamento

Nella foto precedente avevo barato un po’, ma sapevo che sarebbe bastato aspettare per ritrarre Venere mattutino (Stella del Mattino). Questa foto è del 6 Luglio 2020, il caso ha voluto che si vedesse ancor meglio una barca di pescatori che può fare a dovere le veci del vascello dell’Angelo Nocchiero.

Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino, 
per li grossi vapor Marte rosseggia 
giù nel ponente sovra ‘l suol marino,


cotal m’apparve, s’io ancor lo veggia, 
un lume per lo mar venir sì ratto, 
che ‘l muover suo nessun volar pareggia. (Purgatorio, II, 113-118)

4 pensieri su “Gli alberi del Dantedì

  1. Molte grazie per il commento. Sono contento che il lavoro non solo le sia piaciuto ma che sia stato anche d’aiuto alla sua iniziativa. Può naturalmente usare tutto il materiale che le serve, basta citare semplicemente la fonte, cosa della quale non o dubbi. Per la visita a Lenola, penso di prenderla in parola, dopotutto Padova non è troppo lontana.

  2. Gentile autore, per onestà intellettuale Comunico che, ricercando per una iniziativa della biblioteca di Lenola insieme al parco regionale dei monti ausoni, mi sono imbattuta nel suo lavoro. Si tratta di fare una passeggiata in luogo turistico seguendo un breve percorso che incontra numerosi alberi anche da lei citati. Non intendo utilizzare foto o testi suoi ma reciteremo i versi della divina attinenti agli alberi che incontreremo e per i commenti utilizzerò una divina commedia interpretata. Se ha piacere di.Venire a Lenola il 22 maggio prossimo è il benvenuto! Lorenza cairo delegata per la biblioteca di Lenola (latina).

  3. Meraviglioso viaggio attraverso la Divina Commedia, in versione inedita.
    Complimenti all’autore!

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