Prima di cominciare la lettura, potete far partire questo video dalla durata di poco meno di quattro minuti, tratto da You Tube. Lo si può intendere come una sorta di colonna sonora del post; il brano di Grieg (Peer Gynt Suite No.1, Op. 46, 1. Movimento: Il Mattino) mi è sembrato adatto al contenuto, in modo particolare al commento iniziale.
La Pianura Padana era interamente coperta da foreste miste di Carpinus betulus e Quercus robur (Farnia), la così detta Foresta planiziale a querco-carpineto, un paesaggio completamente diverso dall’attuale totalmente antropizzato. Tuttavia la specie vegeta fino a quasi mille metri d’altezza, alle nostre latitudini, e così, sulle pendici delle montagne che si affacciano sulla Pianura, Prealpi e Appennino, cresce in boschi puri o assieme a faggi e, naturalmente, querce. In città è molto presente sia in filari sia in individui isolati: selezionare le foto fra le tantissime è stato arduo.
La foglia di Carpinus betulus è in qualche modo emblematica: molte altre piante derivano il nome specifico dal suo aspetto, ad esempio: Ulmus carpinifolia (noto a questo blog come Ulmus minor), Zelkova carpinifolia, Ostrya carpinifolia, quest’ultima, addirittura ha nome comune ‘Carpino nero’. Ma la nomenclatura linneana è spesso autoreferenziale: lo stesso eroe di questo post richiama la Betulla nel nome della specie, forse per la foglia o forse per il legno.
La corteccia è grigia e liscia, passandoci sopra con la mano si prova la stessa sensazione che si avverte con quella del Faggio. Con l’età non si screpola, ma nel fusto cominciano ad apparire delle strane scanalature; veri solchi, che fanno emergere singolari formazioni, tecnicamente: canule.
Il fenomeno è ben spiegato nel file del Professor Zanella, scaricabile qui sotto, che ne dà anche una possibile interpretazione.