Nella pittura della fine del Duecento l’albero da elemento semplicemente decorativo o oggetto puramente simbolico, diventa un pezzo di natura e partecipa a pieno titolo alla rappresentazione messa in scena dagli artisti.
La Predica agli uccelli di Giotto della Basilica superiore di Assisi (1292-95) è forse, anche solo a considerare lo spazio dedicato agli alberi, il primo esempio di questo nuovo atteggiamento. L’intera parte destra è occupata da un grande esemplare, mentre altri due più piccoli, per ragioni prospettiche, sono collocati dall’artista al di sopra del Santo e del suo compagno. Gli uccelli in basso sembrano connettere le due parti.
Naturalmente dato il carattere del blog siamo primariamente (dovrei dire esclusivamente?) interessati a identificarlo. Che si tratti di quercia non v’è dubbio, basta guardare le foglie.
Una conferma indiretta viene dal terzo riquadro della predelladella tavola San Francesco riceve le stigmate del Louvre, 1297-99, dello stesso Giotto, dove il soggetto è ripreso identico, a meno dei due alberi in fondo, e con maggior cura dei particolari. Inutile ogni commento. Il problema è determinarne la specie.Forse ci aiuta la foglia, che si avvicina di più è quella della rovere: lamina fogliare che si allarga verso il vertice, lobi stretti e talvolta poco profondi, base acuta o smussata, picciolo corto.Tuttavia quanto all’aspetto viene da pensare alla roverella: tronco breve e contorto, chioma aperta e scapigliata.Nella scena principale della tavola compaiono ancora tre querce una è la pianta incorniciata dai raggi provenienti dai piedi di Gesù. Particolare a destra della foto.Altre due sono raffigurate al sommo del colle, anche se la più piccola, con quelle foglie esageratamente grandi, fa di tutto per assomigliare a un frassino.Gli altri due a mezza montagna potrebbero essere tigli.
Come avrete ormai capito è impossibile dai dipinti determinare la specie, la scena è troppo lontana per trovare un qualche dettaglio dirimente. Non resta che provare a immaginare il paesaggio che si presentava all’artista, negli anni Novanta del Duecento, dalla città umbra.
Il territorio assisano è disseminato di grandi alberi, per lo più querce (appunto), disposte in filari lungo le strade interpoderali o isolate nel bel mezzo dei campi. E questo sia a sud dove si stende la Valle Umbra sia a nord zona squisitamente collinare. Basta navigare su GoogleMaps e atterrare in un qualunque posto dove compaiono gli alberi per godere di paesaggi simili a quello nella foto.Nella zona collinare, che potrebbe essere quella ripresa nelle due opere, le grandi querce sono da sempre disposte a scacchiera per assolvere al compito di consolidare il terreno, che è argilloso e tende a sfaldarsi. Inoltre coi loro frutti assicuravano (e in parte assicurano anche oggi) l’alimento principale per l’allevamento dei maiali, che si alternava alla coltivazione del grano.Nella regione le querce isolate, e quelle in filari, sono sia farnie (Quercus robur)sia roveri (Quercus petrea), le migliori come foraggio, ma anche per fare un particolare tipo di pane in uso nel medioevo, mentre nei boschetti relitti e sul Subasio (il monte di Assisi) prevalgono le roverelle (Quercus pubescens). Da sinistra foglia di: farnia, rovere, roverella.Sono presenti anche molti lecci (Quercus ilex), che affollano perlopiù le pendici del Monte Subasio in veri e propri boschi, ma han foglie intere e non lobate. Nella foto foglie di leccio, coriacee e dal colore prevalentemente verde scuro. Ancora una foto ma questa volta nella piana ai piedi di Assisi. Quanto ai polloni in basso sui tronchi, assenti sulle piante di Giotto, si pensi che al tempo erano sistematicamente tagliati per farne legna da ardere. Insomma, tutti questi alberi facendo parte di un contesto agrario erano (e sono) oggetto di interventi continui che in parte ne snaturavano sia la forma delle chiome sia l’andamento di fusti e rami. Per concludere in bellezza ancora due affreschi dalla Basilica superiore dove compaiono le protagoniste del post. Nella foto: Giotto, Donazione degli abiti, 1292-95. Giotto, Miracolo della fonte, degli stessi anni. Le grandi querce spiccano sui seminativi, a volte più a volte meno a seconda delle stagioni. Forse i campi estivi col giallo del grano o delle stoppie han suggerito a Giotto il colore della roccia onnipresente negli affreschi.