Weigela vs Calysphyrum: il calice che voleva essere un peduncolo

A mo’ di Introduzione

Unalberoalgiorno ha sempre trovato esaltante cercare di ricostruire i motivi del cambio di genere in una pianta, sia perché emergono preziose riflessioni sui caratteri, sia per puro desiderio di conoscenza. Mentre preparavo il post su Weigela florida il passaggio di priorità da Alexander Bunge a Alphonse de Candolle ha immediatamente attratto la mia attenzione, ma ho preferito rimandare a un apposito articolo perché la materia era subito apparsa vasta e complessa. In questo post sebbene i protagonisti siano quattro botanici (tre audaci esploratori e un solido sistematico) e due generi, le vere protagoniste sono due piante, due specie di Weigela, provenienti da distinte regioni dell’Estremo Oriente, dichiarate estranee al battesimo tassonomico, ma in seguito riconosciute sorelle.

Il cambio di genere

Nel 1839 Alphonse de Candolle, botanico svizzero figlio del più famoso Augustin, in Annales des Sciences Naturelles, fascicolo 11, pagina 241, pubblicato a Parigi, descrive la specie Weigela florida e contestualmente corregge il suo collega Alexander Bunge (1803-1890, botanico esploratore in Asia e Siberia), che l’aveva trovata nella Cina Orientale e gli aveva dato nome Calysphyrum floridum– righe 5 e 6.

Il Bunge l’aveva così battezzata in Enumeratio Plantarum quas in China Boreali, San Pietroburgo, 1831 a pagina 108, dandone una breve descrizione.

Mentre alla pagina precedente, nel descrivere il genere, pure da lui introdotto, aveva abbondato di particolari. All’inizio la descrizione si concentra sul calice (non è un caso, come vedremo) saldato o fuso al tubo dell’ovario. Più sotto si dice: ‘Ovario racchiuso nel tubo del calice’, ovvero ovario infero.

Una imbarazzante somiglianza

La pianta somiglia molto a Weigela japonica descritta da Thunberg(*) nel 1780 in Kungl. Svenska vetenskapsakademiens handlingar, Stoccolma, 1780, pagina 141.

Poiché il testo è in svedese, ci rivolgiamo a Flora Japonica, Lipsia, 1784, pagina 90, dove compare identico ma in latino. Il genere compare in una apposita sezioni del libro (Genera Nova Japonica) dove implicitamente Thunberg rivendica la priorità di diverse scoperte.

In questo volume è riportata anche una tavola della specie (non è indicato né l’autore del disegno, forse Thunberg stesso, né l’incisore). La forte somiglianza con Weigela florida stupisce non poco.


Breve descrizione di Weigela japonica
Richiamiamo brevemente alcuni caratteri della specie, rimandando una trattazione più completa a un apposito post.

Arbusto di medie dimensioni, rami inizialmente eretti, poi ricadenti in cima. Nella foto l’esemplare dell’Orto.
Foglie opposte, allungate con base arrotondata e vertice puntuto, lamina più larga di quella della sorella florida. Bordo seghettato.
Splendida fioritura. Infiorescenze a mazzetti in cima ai rametti.
Corolla a imbuto stretto nella parte inferiore, fauce ampia, cinque lobi di cui uno più lungo che rompe la simmetria pentagonale e la riduce a bilaterale. Stigma appiattito, su lungo stilo tanto da emergere dal tubo corollino.
Cinque stami saldati alla base della corolla. Calice a cinque lobi separati sin dalla base. Ovario infero all’interno di un lungo ricettacolo che ricorda un peduncolo ingrossato.

Un carattere fuorviante

Viene da chiedersi come sia stato possibile un errore tanto grossolano da parte di Bunge, botanico esperto e profondo conoscitore della materia.

Una possibile spiegazione potrebbe trovarsi nella descrizione del genere Weigela che compare a pagina 6 dello stesso Flora Japonica. Ivi, infatti, Thunberg indica l’ovario come supero. Si capisce allora che per Bunge l’introduzione di un nuovo genere era una scelta obbligata. Dobbiamo immaginarlo chino sul suo tavolo di studio con davanti il campione da lui raccolto e il libro di Thunberg aperto a pagina 6, egli deve immediatamente aver escluso la possibilità che la sua pianta fosse una Weigela; soprattutto se, come credo, non aveva accesso al campione d’erbario di Thunberg.

Non è un dettaglio trascurabile, poi, il fatto che colloca il nuovo genere fra le Brassicaceae, una famiglia che, secondo gli insegnamenti del grande Antoine-Laurent de Jussieu, aveva ovario infero e, come spesso capita in questo caso, calice supero. Nella foto la pagina 196 di Genera Plantarum, Parigi, 1789.

Ritorno a de Candolle

Giunti a questo punto del racconto, torniamo a de Candolle nella speranza di trovare maggiori indizi quando descrive il genere.

Scopriamo così che lo divide in due sezioni, nella prima, denominata Utsugia, colloca le specie con il calice che ‘non si prolunga oltre l’ovario’ e ‘con i lobi non saldati alla base’; nella seconda, dal nome Calysphyrum, raggruppa le specie col calice che ‘si prolunga oltre l’ovario’ e con i ‘lobi saldati alla base’. Nella foto un collage delle pagine 240 e 241.

W. japonica con calice dai lobi indipendenti e separato dal ricettacolo (ovario) è collocata in Utsugia – tra calice e ricettacolo c’è una soluzione di continuità.
Per inciso notiamo che l’evidente ingrossamento alla base del calice potrebbe spiegare ‘l’abbaglio’ di Thunberg, che forse ha scambiato il ricettacolo per un semplice peduncolo deducendo che l’ovario fosse supero.

Mentre W. florida che ha base del calice e ricettacolo saldati è collocata nella sezione Calysphyrum – tra calice e ricettacolo non c’è soluzione di continuità.

Sono presenti inoltre altre due specie. W. coraeensis

descritta da Thunberg in Transactions of the Linnean Society of London, Londra, 1794, fascicolo 2, pagina 331.

E W. pauciflora, precedentemente inglobata da Bunge in W. florida, di cui de Camdolle dichiara di aver potuto vedere il foglio di erbario – non appartenente però alla collezione di Bunge. La priorità della specie fu poi attribuita allo stesso de Candolle (Weigela pauciflora A.DC. Ann. Sci. Nat., Bot., sér. 2, 11: 241, 1839)

Una ponderata scelta di nomi

I nomi che de Candolle dà alle due sezioni aiutano a capire ancora meglio il suo pensiero. Il termine Utsugia è di origine giapponese e compare nella descrizione di Thunberg (righe 6 e 7), il quale lo aveva ripreso a sua volta da Engelbert Kaempfer (1651-1716) famoso botanico e esploratore che descrisse all’Europa la flora giapponese in Amoenitatum exoticarum politico-physico-medicarum fasciculi 5, Lemgo, 1712.

Collage dalle pagine 854-55 con le diverse descrizioni di Kaempfer. L’etimo del termine è da ‘utsu’ che vale ‘vuoto’ e ‘gi’ legno, con riferimento ai rametti cavi, ovvero con caratteristico midollo (come quelli dell’europeo sambuco).

Mentre la spiegazione del termine ‘calyphyrum’ è data dallo stesso Bunge all’ultima riga del protologo: ‘Nomen a calyce pedunculum simulante’ che vale ‘Il nome deriva dal calice che simula [ricorda] un peduncolo’.

A mo’ di Conclusione

Così il cerchio si chiude su questa storia incredibile, poiché ora comprendiamo la fatica e le scelte di de Candolle il quale: a) riconosce in Calysphyrum floridum una weigela; b) si accorge delle differenze tra la pianta di Bunge e Weigela japonica e le colloca in due sezioni diverse; c) ha il buon gusto di usare un termine giapponese per denominare la prima di queste sezioni; d) ha la delicatezza di conservare il termine ‘calysphyrum’ nel battezzare la seconda sezione.


(*) Carl Peter Thunberg (1743-1828) allievo di Linneo all’università di Uppsala ha studiato nei paesi di origine sia la flora africana sia quella giapponese, pubblicando numerosi volumi sulle specie di quelle regioni. Uomo dalla storia lunga e affascinante tanto che se ne potrebbe fare un romanzo o un film.

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