Danae racemosa – Lauro alessandrino

portamento; foglia; fiore; frutto; corteccia; rametto; seme; embrione; fenologia; areale di origine; sistematica e etimologia; dove trovarli

Danae racemosa (L.) Moench
Nome assegnato da Conrad Moench (1744-1805) professore di botanica a Marburgo in Methodus Plantas orti botanici et agri Marburgensis, Marburgo, 1794.

La pagina 170. Moench crea il nuovo genere e ne dà i caratteri, fra questi: gli stami si saldano a formare un tubo. Alla sesta riga enuncia il nuovo nome e alla settima ci spiega che Linneo l’aveva collocata nel genere Ruscus (non cita Species Plantarum). Ricorda infine il vecchio nome Laurus alexandrina (Robert Morison, Plantarum Historia, 1799, Oxford) da cui proviene di certo l’attuale nome volgare in tutte le lingue… volgari.

L’occasione è ghiotta per mostrare l’illustrazione che riproduce la pianta nel volume di Morison (Sect. 13 Tab. 5). Si distinguono i racemi alle ascelle delle ‘foglie’.

La pagina 1041 di Species Plantarum dove Linneo dà un nuovo nome dopo che aveva chiamato la pianta Ruscus racemo terminali hermaphroditico in Hortus Cliffortianus, così come aveva fatto Adrian Van Royen (Florae Leidensis). Nell’ultima riga compare un carattere veramente singolare della pianta sul quale ci soffermeremo.

Etimo

Si è già detto sul nome scientifico e volgare. Il nome di genere è da Danae sfortunata principessa di Argo, madre di Perseo e fondatrice della città laziale Ardea. Anche questa è una storia di stupro camuffato: Giove la ‘seduce’ trasformandosi in una pioggia d’oro. (Danae, Tiziano, 1553, Prado, particolare)


Fenologia minima
Areale di origine (native range), dalla Turchia all’IRAN, dalla Siria al Caucaso

Arbusto vitale dal fogliame verdissimo e lucidissimo, lancia i fusti sottili e flessibili in ogni direzione, ma presto ricadono mollemente. Ama l’ombra, carattere sempre utile nei giardini, ed è un sempreverde, il che non guasta.

Grosso esemplare dai rami decombenti ai Giardini Reali di Venezia
Nello stesso giardino assieme ad altre verzure
In pieno inverno in Orto, presso la vecchia entrata. Han dovuto contenerlo energicamente.
Fogliame fitto e splendente; anche i fusti (che spuntano copiosi direttamente dal terreno) sono verdi.
In realtà quelle che sembrano foglie sono rametti modificati (cladodi o fillocladi)
Le simulano perfettamente, anche nelle venature che sono parallele come in tutti i monocotiledoni. Vertice acuto, base ottusa, ‘lamina’ allungata, bordo intero.
‘Pagina inferiore’ più pallida
Sezione trasversale del fillocladio. Si distinguono le venature (o meglio i vasi)
Le vere foglie emergono dai rametti senza picciolo e sembrano brattee.
Per capirci qualcosa dobbiamo ricorrere a una illustrazione.
In maggio emette nuovi fusti e rametti; proprio punte di asparagi…
Ma le sorprese con questa pianta non finiscono qui, poiché i fiori sono un capolavoro di singolarità. Intanto c’è da dire che l’infiorescenza è un racemo; da qui il nome di specie che la distingueva agli occhi di Linneo dagli altri ruscoli ché i fiori li portavano in mazzettini (unisessuali e al centro del cladodio).
E poi, guardateli: sembrano frutti. L’inganno è nei petali carnosi (‘calice e corolla uniti nella crescita in un unico corpo carnoso’, Linneo dixit)
Quando il fiore appassisce e l’ovario si accresce, la corolla si stacca. Certo, si dirà, come in ogni fiore. Ma qui resta come appesa, incerta sul da farsi.
Sezione longitudinale del fiore. Si riconoscono i petali carnosi (gialli), l’ovario verde, il breve stilo e lo stigma giallino. Attorno allo stilo gli stami (rossicci) saldati per i filamenti (fiore monodelfo) e per le antere (fiore singenetico) come aveva detto Moench. Il tutto sormontato da una apertura lasciata dai lobi dei petali.
Un disegno a chiarimento. Due carpelli e due ovuli, ma di solito solo uno fecondato.
Stigma bifido
Avvicinandoci alle antere
I frutti sono bacche sferiche di colore rosso, restano a lungo sulla pianta. Foto in novembre.
Frutti in formazione. Ovario supero.
In settembre cominciano timidamente a cambiar di colore.
Residui di calice alla base
In cima residui di stilo e stigma
Che sia una bacca è ben documentato dalla foto: seme immerso nella polpa
Dal centro, il seme (a volte due), seguono tessuti derivanti dalla parete dell’ovario: endocarpo e mesocarpo (indistinti come in quasi tutte le bacche); esocarpo (la pelle).
Seme, una sferetta di poco meno di un centimetro; tanto endosperma bianchiccio. Si riconosce la regione da dove sbucherà la radice e tutto il resto.
Embrione. Si distingue la piega dei due cotiledoni, e la parte più scura della radichetta.
Ma una volta aperto la delusione è grande: non si vede un granché.

Ho ricevuto da Maura C., dopo uno scambio di mail piuttosto serrato, un ‘servizio completo’ sulla germinazione. Foto scattate a piante del suo giardino e gentilmente prestate al blog. La preparazione dei campioni è accurata, e la qualità delle foto molto buona. Le pubblico volentierissimo.

L’unico cotiledone (pianta monocotiledone) appena spuntato dal terreno. A destra parte ipogea e epigea.
Si distinguono il seme (il bottone marrone in centro), radichetta e cotiledone.
Nell’ingrandimento il seme sembra come svuotato dell’endosperma. Il miracolo della vita.
In questa foto, di qualche tempo dopo, si riconoscono: il cotiledone, due foglie normali, la nuova radice (quella propria della pianta).

2 pensieri su “Danae racemosa – Lauro alessandrino

  1. Grazie di esistere. Leggendoti, la giornata si colora di ottimismo e fiducia nell’umanità. God bless you!

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