Fatsia japonica (Tunb.) Decne. & Planc. Nome imposto da Joseph Decaisne, naturalista belga che operò a Parigi, e da Jules É. Planchon, botanico francese cui si deve il salvataggio delle viti europee dalla fillossera. Purtroppo non ho trovato il numero della rivista, Revue Horticole, pubblicata a Parigi nel 1854 dove compare il nome assegnato dai due. In compenso posso esibire le pagine 128 e 129 del volume Flora japonica (1784) di Thunberg che riportano una descrizione minuziosa della pianta, alla quale egli aveva però attribuito il nome, oggi non più valido, di Aralia Japonica, e che attualmente, nella convenzione internazionale, designa un’altra specie. Entrambe, come c’era da aspettarsi, appartengono alla famiglia delle Araliaceae. (Approfondimenti)
Fenologia minimaAreale di origine – Native range. Corea e Giappone
Arbusto robusto non molto comune in città. Peccato, perché di sicuro effetto decorativo con le larghe foglie profondamente lobate e la fioritura sontuosa in grandi candelabri a pannocchia.
Rami che salgono rapidi direttamente dal terreno; pochi i rametti laterali, ma ci pensano le vaste foglie a dar corpo alla chioma, in specie alla sommità. Nella foto un esemplare al Lido di Venezia.Attaccatura delle foglie direttamente sui rami principaliPoi lasciano curiose e caratteristiche cicatrici fogliari direttamente culla corteccia.La quale corteccia è grigio chiaro, liscia e punteggiata di lenticelle. Via duca degli Abruzzi, uno scapigliato con tentativo di contenimento.Cresce anche in vaso, ma forse questo esemplare dell’Orto Botanico di Bologna non gradisce, o forse è sofferente perché la specie predilige l’ombra.Quando si incontrano esemplari rigogliosi, come questo in Via Raggio di Sole, si può ammirare il lavoro di foglie e piccioli che si ingegnano a formare una superficie compatta.Giovane e imbronciato esemplare in Via Tirana; qualcuno o qualcosa gli ha rotto l’unica infiorescenza che aveva emesso in questo inverno.E sono proprio le grandi foglie lobate (da sette a nove lobi) che colpiscono, anche per il curioso modo di incurvarsi del picciolo in prossimità dell’attaccatura. Si forma una sorta di calice rigato.Lunghi lobi divisi da stretti seni, che si inoltrano in profondità nella lamina fogliare terminando in curiosi occhielli. I lobi, sempre loro, sembrano sorretti da robuste nervature chiare convergenti verso il picciolo. Deboli le venature secondarie, reticolate le terziarie. Bordo rinforzato da un cordone giallastro e debolmente dentato.Ma è la fioritura che attira irresistibilmente l’attenzione: una incredibile struttura a pannocchia (grappolo di grappoli) ramificata in lunghi e radi steli… …che portano peduncoli con in cima grosse ombrelle sferiche. Bene si distingue la conformazione dell’ombrella alla caduta di petali e stami: raggi fulminei che si dipartono dritti da un unico punto posto al sommo del peduncolo. Una stella di rette direbbe un geometra (P. Odifreddi, Una via di fuga, Mondadori, 2011, p. 192).Una vecchia pubblicità di matite, per qualcun altro.Fiori a cinque petali bianchi e ripiegati all’indietro, alla schiusa di colore verde pallido e diritti; cinque stami dai lunghi filamenti candidi culminanti in minuscole antere, bianche anch’esse. Nettario ocra tenue, madido di gocciole zuccherate. Cinque stili culminanti in stigmi piatti.E cinque sono i loculi dell’ovario. Nella foto si distinguono le tracce degli ovuli sezionati trasversalmente e la materia circostante fornita dal ricettacolo, che diventerà la polpa della futura bacca.Frutti in gennaio. Poi, in maggio, le bacche maturando diventeranno viola scuro, e ricordano quelle dell’edera.Maturazione asincrona.Corteccia liscia e grigia, lenticelle munita e……con curiose tracce fogliari. Fa una certa impressione trovarle direttamente sui fusti, ma già sappiamo, per averlo notato più volte, che la pianta è priva di rametti lateraliUn estratto delle pagine 128 e 129 del volume di Thunberg. Indicazioni che ci possono servire da ripasso.Il foglio di erbario conservato al Kew Garden di Londra riporta ancora il vecchio nome.