Lonicera japonica Thunb. Nome assegnato da Carl Peter Thunberg (allievo di Linneo all’università di Uppsala) nella quattordicesima edizione di Systema vegetabilium […], Gottinga, 1784, a cura di Andrea Murray, l’opera risale a Linneo ma ebbe numerose edizioni posteriori. Thunberg ha studiato nei paesi di origine sia la flora africana sia quella giapponese, pubblicando numerosi volumi sulle specie di quelle regioni. Uomo dalla storia lunga e affascinante tanto che se ne potrebbe fare un film.
La pagina 216. Fiori a coppie e senza peduncolo, foglie semplici, stelo flessibile (insomma, è un rampicante).
Il nome del genere fu dato da Linneo in onore del matematico, medico e botanico Adam Lonitzer (latinizzato Lonicer), autore del long seller Kräuterbuch, Francoforte, 1557. Un libro fortunato con ben ventisette edizioni, l’ultima addirittura nel 1783. Sull’autore, il suo libro e lo spregiudicato mondo dell’editoria botanica del Cinquecento vi rimando a questo gustosissimo articolo.
Fenologia minima. Nel suo areale più settentrionale si comporta da caducifoglia. Lungo periodo di fioritura.Areale di origine (native range) – Cina, Corea, Giappone, Formosa; foresta temperata e in parte boreale.
Caprifoglio a carattere lianoso. Robusto e vitale, si inerpica sugli alberi, anche a grandi altezze, con facilità e senza alcun bisogno di radici aeree; in mancanze di supporti dilaga sul terreno formando un tappeto verde, più o meno scuro a seconda della stagione. Da maggio a settembre si accende di fiori bianchi e gialli. Proviene dall’estremo oriente e si è completamente naturalizzato.
La configurazione canonica nei giardini è a siepe, talvolta è fatto arrampicare su altre specie, un’edera in questo caso (Via Palestro). Come già detto è naturalizzato, nella foto formazioni sulla spiaggia di San Nicolò (Lido di Venezia).Poco lontano lungo l’omonima digaA cominciare da novembre ingiallisce, ma solo nei luoghi più freddi o più esposti.Foglie a disposizione opposta, con internodi molto brevi in punta al rametto. Forma allungata con base ottusa e a volte cordata, vertice arrotondato ma spesso appuntitoPagina superiore verde non molto intenso all’inizio, ma scurisce alla fine dell’estate. Venature sottili e chiare, si distinguono bene anche le terziarie indecise fra un disegno a rete o a scala.Pagina inferiore chiara, quasi glauca, venature primaria e secondarie in rilievo.Minuscoli peli, percepibili solo al tatto e percorrendo la lamina verso la base, ricoprono la foglia e in modo particolare il bordo.Visibile invece la fitta peluria che ricopre piccioli e rametti Incredibile come cambi la percezione anche con pochi ingrandimentiRametti e fusti cavi all’interno. Tante piante hanno questa proprietà, ricorderete il lillà, che però appartiene alla famiglia delle Oleceae, mentre il Nostro presta il nome a quella delle Caprifoliaceae.Come già detto la fioritura è lunga e abbondante, ma anche profumatissima; un aroma caldo, viscoso, vagamente simile alla vaniglia. La corolla ha alla base un tubo lungo e diritto, mentre in alto si apre in due labbra.Il labbro superiore è ampio e nella parte alta si divide in quattro lobi ben delineati, mentre quello inferiore è singolo, stretto, forse un po’ più lungo, ripiegato all’indietro. I fiori hanno la curiosa abitudine di cambiare colore col tempo: passano da un bianco candido appena sbocciati ad un giallo intenso, quasi ocra, col passare dei giorni. La cosa succede anche se raccolti è tenuti in vaso.Spuntano a coppie su brevi rametti. Il calice è anch’esso tubolare, con cinque lobi triangolati e appuntiti, e protetto da una brattea aguzza e pelosissima. Cinque stami saldati alla parete interna della corolla, ch’è in vero pelosetta. Al centro nella foto lo stilo libero e verdolino.Stigma verde brillante, ricorda la testa d’un chiodo; antere giallo ocra.Lo stigma da vicino, colore verde smeraldo e superficie ricoperta da minuscole protuberanze madide di umori.Ovario infero, come in tutte le caprifogliacee. Nella foto si riconoscono a partire dall’alto: l’ovario immerso nel ricettacolo (e dentro un paio di ovuli), il calice, la brattea pelosa. Placentazione centrale (gli ovuli sono attaccati ad una struttura che si innalza al centro dell’ovario) Vale la pena costruirsi un diagramma fiorale, magari da usare come ripasso. 1 sezione sepali, 2 calice gamosepalo, 3 sezione lobi del labro superiore della corolla, 4 corolla gamopetala, 5 sezione del labro inferiore della corolla, 6 sezione antere, 7 stili saldati alla parete interna della corolla, 8 sezione carpelli (ovario), 9 sezione ovuli, 10 sezione brattea. I frutti sono bacche grandi quanto un pisello, inizialmente verdi, poi nero violacee a maturità.Si presentano a coppie strettissime su breve rametto, riproducendo la disposizione dei fiori.Resti di calice in cima, come in ogni frutto che derivi da ovario infero.L’interno è poco intellegibile, quando il frutto è maturo. Il conglomerato più scuro è composto da semi sparsi disordinatamente nella polpa acquosa e verdastra.Sicuramente più chiara questa sezione trasversale di un frutto in formazione, nella quale si riconoscono tre cavità formate da altrettanti carpelli. Sezione longitudinale, visibile la struttura al centro di cui si è già detto parlando della placentazione. I semi sono piccolissimi. E quanto alla forma, sgraziati: superficie tormentata e due strane scanalature longitudinaliA sinistra l’ilo (la traccia del cordone (funicolo) che collega l’ovulo alla placenta).Corteccia liscia di colore grigio marroneCol tempo si staccano strisce sottili di consistenza cartacea.