Campsis radicans – Bignonia

portamento; foglia; fiore; frutto; seme; corteccia; fenologia; areale di origine; sistematica; etimologia; Campsis grandiflora; Campisis radicans Purpurea; Campsis x tagliabuana


Campsis radicans (L.) Seem.
Nome assegnato dal botanico Karl von Seemen a pagina 372 del quinto volume, anno 1867, del Jurnal of botany, Londra. La lettera L. tra parentesi si riferisce a Species Plantarum di Linneo, che pur avendola descritta non le ha assegnato il nome oggi ritenuto valido.

La pagina in questione. Compare il tributo al botanico Lousi Bureau che fu il primo a darle questo nome, ma evidentemente senza descriverla. Segue una dettagliata presentazione dei caratteri. Nelle ultime righe (pagina successiva) la storia tassonomica della pianta che è passata per ben due generi diversi prima di approdare al Campsis. Ma tutti ancora oggi continuano a chiamarla bignonia.
Etimologia
Il nome del genere deriva dal greco kampé=piegato con riferimento agli stami incurvati, mentre il nome della specie è il gerundio radicans=radicante per le radici aeree che le permettono di aggrapparsi per ogni dove.

Fenologia minima
Areale di origine – Native range

Per una volta non un albero né un arbusto ma una liana. Rampicante dai colori accesi, foglie verdissime e fiori aranciati, questi ultimi grandi e disposti in estesi mazzi. La chioma è espansa, fitta, florida. Insomma, una pianta lussureggiante. Perdipiù è una arrampicatrice eccezionale con lunghi e sottili fusti capaci di emettere piccole radici che si ancorano dappertutto.

Strada per Alberoni (Lido di Venezia), sembra incontenibile. (Settembre)
In città non è comune, era di moda qualche decennio fa, nella foto un intraprendente arrampicatore in Via Sant’Eufemia. Giugno.
In inverno si riduce a poco più che niente. Ma lascia vedere i numerosi fusti esili eppur resistenti e dal colore marrone.
Si è brillantemente naturalizzata. Nella foto sui Murazzi al Lido di Venezia.
Foglia composta grande qualche decina di centimetri. Le foglioline sono allungate ma a lamina piuttosto larga; non han picciolo ovvero si potrebbe dire che ne possiedano uno alato.
Base ottusa, vertice acuto con vezzoso prolungamento, simile a quello del bagolaro. Il bordo ha denti corposi e indecisi sulla direzione da prendere.
Colore verde intenso. La rachide cambia inclinazione in prossimità dei nodi tanto da sembrare spezzettata.
Lei è alquanto pelosetta, e ha una curiosa scanalatura che si interrompe in corrispondenza dei nodi.
Sezione della radica; la scanalatura sembra una canaletta per irrigazione.
Pagina inferiore più opaca e chiara, venature evidenti e con fitta peluria ai bordi.
La Natura è inesauribile, chi mai avrebbe potuto immaginare una simile disposizione dei peli?
Aumentando l’ingrandimento si distingue meglio il tipo di acconciatura.
In giugno si copre di grandi fiori rossoaranciati, e l’effetto è accresciuto dalle ricche infiorescenze. L’accostamento dei due colori accesi (e complementari) ha un forte impatto visivo.
Non è facile identificare il tipo di infiorescenza allo sbocciare dei fiori, ma col passare dei mesi (foto in settembre) i peduncoli si distendono e si riconosce una pannocchia.
La corolla somiglia al cornetto (lo strumento musicale ormai in disuso). I petali sono saldati alla base e in alto si allargano cinque lobi tondeggianti.
La simmetria non è quinaria ma bilaterale: due semipetali allineati (in alto) e gli altri tre, un po’ più grandi, lungo un ideale semicerchio.
Calice a rigorosa simmetria pentagonale, carnoso, con sepali triangolari saldati alla base e dal colore più chiaro della corolla.
Per vedere com’è fatto dentro, bisogna aprirlo. Quattro stami di lunghezza diversa (didinami) e filamenti curvi sormontati da vistose antere. Pistillo lungo e sottile.
Ogni antera ha due capsule (teche) che si aprono in due valve lasciando comparire il polline giallissimo.
Bell’esempio di stame infisso direttamente alla corolla.
Il lungo pistillo è sormontato da uno stigma a due lobi, elegante e bellissimo.
Ma le sorprese non finiscono mai ché questo fiore non si fa mancare proprio nulla: in fondo al tubo c’è anche uno staminodio (uno stame sterile che forse racconta di una storia evolutiva complessa).
In basso l’ovario supero (impossibile esserlo di più) piantato su un tessuto gommoso, di certo sostanza nettarifera. Ma quale insetto si avventura così in profondità?
Miriadi di ovuli portati da una struttura centrale.
I frutti sono capsule tanto allungate da sembrare baccelli. Pendono mollemente e conservano il calice ingiallito ma ancora saldo al suo posto.
A maturazione diventano marrone, assumono consistenza legnosa e custodiscono un centinaio di semi (ricordate gli ovuli di prima?) alati e leggerissimi.
Se ne stanno stipati nella lunga custodia e crescono disciplinati in fila; attaccati ( per il funicolo) ad un setto centrale
Neanche a farlo apposta, aprendo la capsula uno solo è rimasto sull’altra metà.
La foto è presa in settembre, ancora un paio di mesi e seccheranno; abbandonando tuttavia il loro astuccio solo alla fine dell’inverno.
Corteccia grigiomarrone, inizialmente liscia ma col tempo si sfilaccia in lunghe strisce.
In Orto vive più d’una bignonia comprese cultivar e incroci. Nella foto l’esemplare aggrappato a un pilastro della porta nord.
Da diversa prospettiva. Sul lato opposto del muro, verso ovest, due Campsis grandiflora,…
…una specie di origine cinese della quale non possiamo fare a meno di mostrare i bellissimi fiori.
Ancora un’immagine della porta nord, in corrispondenza dell’altro pilastro abitano due cultivar (una è sul lato interno non visibile nella foto) dall’eloquente nome Campsis radicans Purpurea.
Tornando all’interno del recinto, quasi affiancata alla radicans vive una Campsis x tagliabuana (un incrocio tra la Nostra e grandiflora).
Le cui capsule sono lunghe e sottili.

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