Parthenocissus tricuspidata – Vite del Canada

portamento; foglia; fiore; frutto; corteccia; rametto; viticci; seme; foliage; fenologia; areale di origine; sistematica; etimologia; dove trovarli


Parthenocissus tricuspidata (Siebold & Zucc.) Planch.
La prima descrizione, con nome Ampelopsis tricuspidata, risale al 1845 ad opera di Philipp von Siebold e Joseph Zuccarini in Abhandlungen der Bayerischen Akademie (Trattati dell’Accademia Bavarese).

La pagina 197 degli Adhandlungen. I due scienziati segnalano che la foglia ha tre nervature (principali) e che il picciolo è molto più lungo della lamina.

In seguito, nel 1887, Jules E. Planchon la trasferì nel genere Partenocissus (da lui creato) e gli diede nome P. tricuspidata (conservando l’aggettivo) nella seconda parte del quinto volume di Monographiae Phanerogamarum. Le monografie erano appendici dell’opera monumentale (Prodomus systematis naturalis, il cui primo volume risale al 1825) del Condolle (Augustin) curata, dopo la sua morte, dal figlio Alphonse. Le monografie erano curate a loro volta da Alphonse e dal di lui figlio Casimir.

La pagina 452 del quinto volume delle Monographiae (in alto alla pagina compare il nome di Planchon). La pianta è descritta come prolifica di rami e munita di cirri che terminano con una cupola (ci soffermeremo nel seguito del post su questo curioso carattere). Poi parla dell’eterofilia delle foglie e infine dell’ovario, ma torneremo anche su questo.

Etimologia
Il nome del genere è composto da due termini greci: parthenos = vergine e kissos = edera, come dire edera vergine, ma l’aggettivo si riferisce allo stato della Virginia, insomma edera della Virginia. Il nome della specie è abbastanza chiaro: con tre cuspidi, con ovvio riferimento alle foglie.


Fenologia minima
Areale di origine (native range) – In barba al nome comune è originaria della zona temperata della regione sino-giapponese.

Rampicante robusto e rapido nella crescita. Se ha a disposizione una superficie ampia, la occupa velocemente, e grazie al fogliame compatto forma quinte di sicuro effetto. Non è molto comune in città, ma quello in Via Santa Lucia è maestoso e bellissimo.

Adorna la lapide in memoria del martirio di Flavio Busonera e di altre nove prigionieri partigiani. A testimonianza e ricordo di un feroce crimine di guerra.
Occupa due facciate del Palazzo di Ezelino. Nella foto come appare in autunno. La specie assume anche colorazione rosso vivo, ma non questo individuo che diventa prima giallo e poi rosso molto cupo.
I rami della base si trovano su un lato del palazzo, e anche se la pianta è potata in modo da lasciare libera la parte bassa della costruzione, da questo lato la si può osservare da vicino.
Un altro bellissimo esemplare, facile da osservare, si trova sul lato a sud della canonica dell’Abbazia di Carceri (Carceri, PD).
Qui ripresa un anno dopo. La pianta è periodicamente potata e la foto testimonia della vigoria e rapidità di crescita della specie. Altri esemplari si trovano sulle pareti dei tanti edifici del complesso, ma è impossibile soffermarsi oltre su questo luogo affascinante.
Una felice composizione ai Giardini dell’Arena.
Foglia a tre lobi appuntiti, base cordata o troncata. Il tutto dà alla foglia l’aspetto di uno scudo; e poiché se ne stanno tutte serrate, sembra di trovarsi al cospetto d’una falange macedone.
La pagina superiore è verde brillante, mentre l’inferiore è molto più pallida. Ci sono tre venature principali, che si dipartono dal picciolo, numerose sono le secondarie. Il bordo è crenato (o si potrebbe dire con denti poco pronunciati).
Classico disegno a rete delle venature terziarie.
Picciolo molto più lungo della lamina. La foto dà bene l’idea della lucentezza della faccia superiore, della profondità delle tre nervature principali e del bordo crenato-dentato.
Si è già detto del polimorfismo fogliare; in questa foto molte sono le giovani foglie ancora indecise sull’aspetto definitivo da assumere.
Arrampicatrice tenace, si attacca a ogni superficie grazie a dischetti portati in cima ai viticci.
Sembrano caramelle gommose, e di zuccheri appiccicosi effettivamente sono fatti.
Tracce su un muro…
…e su una superficie metallica.
Il dritto di un dischetto asportato da un muro perimetrale
E questo il suo rovescio; si è portato via mezzo intonaco.
Fiorisce tra giugno e luglio tenendo ben celato l’evento sotto una cortina di foglie.
Infiorescenze in grappoli modesti, spesso fra loro divaricati in cima al peduncolo principale.
Spuntano sul lato opposto delle foglie.
Singoli fiorellini dai petali verdi, allungati e con i bordi ripiegati e più chiari (sembrano canditi); cinque stami; pistillo con ovario bianchiccio, schiacciato e con scanalature profonde a formare altrettanti lobi, stilo breve, stigma appiattito e presto caduco.
Petali a base arrotondata, vertice acuto. Inarcati a totale apertura.
Stami con due sacche polliniche che si aprono longitudinalmente.
Il calice si prolunga in una specie di balaustra, lobi appena accennati.
Sezione trasversale dell’ovario. Quattro ovuli per cinque lobi (disinvolta rottura della simmetria). Dalla foto non è chiaro il tipo di placentazione, ma è noto che nelle Vitaceae è basale, così sarebbe stata utile anche una sezione longitudinale…
I frutti sono bacche (acini, se teniamo conto della famiglia di appartenenza) grandi come un pisello, dapprima verdi poi blu violacee.
Caratteristico lo sviluppo del calice: una sorta di coppa dalla superficie bitorzoluta.
La pelle è pruinosa (ricoperta da una sostanza cerosa).
La foto mostra bene che trattasi di bacca: quattro semi a contatto diretto con la polpa.
Sezione longitudinale del seme, si distinguono radichetta e cotiledoni.
Semi dalla superficie irregolare.
Dove si parla di un rampicante forte e veloce nella crescita, e si discute, pure, del suo strano modo di aggrapparsi ad ogni genere di superficie.
Corteccia fondamentalmente grigia, ma con riflessi marrone. Profondi solchi longitudinali (nei rami più vecchi).
Dai rami lianosi (rigorosamente grigi) si dipartono corti rametti (brachiblasti) con cicatrici fogliari incredibilmente ravvicinate.

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