Prunus persica – Pesco

portamento; foglia; fiore; frutto; corteccia; rametto; seme; fenologia; areale di origine; sistematica; dove trovarli; spigolature

Prunus pesica (L.) Batsch
Nome imposto da August J. G. K. Batsch medico e botanico tedesco, professore a Jena dove, nel 1770, venne nominato da Goethe (allora supervisione delle istituzioni scientifiche e artistiche del ducato) primo direttore dell’orto botanico scientifico. Il nome compare per la prima volta in Beytrage und entwurfe zur pragmatischen Geschicte… (Contributi e linee guida alla storia pragmatica dei tre regni naturali secondo le loro relazioni) del 1801, di cui non ho però la possibilità di esibire la fonte (come lo è stato per il mandorlo). Linneo l’aveva chiamata Amygdalus persica (Species Plantarum, 1753); in questo caso ho la descrizione, e la metto volentieri.

La Pagina 472 di Species Plantarum. Con la sobrietà e incisività che lo contraddistinguono caratterizza la specie dicendoci che le foglie han dentellature tutte acute. Lo colloca nella famiglia con venti stami e un pistillo. Gaspard Bahuin segnala la varietà Nucipersica, che ricorda all’apparenza una noce.

Con lo stesso nome lo chiamava ancora de Jussieu in Genera Plantarum nel 1789. Ivi troviamo parecchie informazioni sul genere e ne approfittiamo. Per i caratteri di alcuni organi egli ci rimanda al genere Cerasus (riportato nella parte bassa della figura).


Fenologia minima
Areale di origine (native range). Originario della Cina fu portato in Europa dalla Persia da Alessandro – da qui il nome della specie.

Piccolo albero o arbusto dalla chioma espansa, largo tanto quanto alto. I rami crescono in tutte le direzioni e i giardinieri li tagliuzzano regolarmente; anche per avere un unico tronco deve essere potato.

Giardino privato in Via Tirana. Bene si distingue il tronco breve che presto si dirama.
Un piccolo esemplare vive presso il Ponte dei Tadi. Nella foto i classici fiori di pesco.
Da sempre naturalizzato. Nella foto (‘Figlio d’ignoto nòcciolo’) fra i blocchi di pietra d’Istria della diga di San Nicolò, Lido di Venezia.
Foglia caratteristica, lunga e stretta, ben visibile la venatura centrale, attorno alla quale si ripiegano le falde della lamina
Base e vertice acuti, breve picciolo
Bordo finemente seghettato
Giovani rametti verde tenero.
Fiori solitari, il più delle volte distanziati, talvolta in piccoli gruppi.
Cinque petali rosa ( ‘d’un rosa che non è della terra‘) più o meno intenso e più o meno omogeneo, numerosissimi stami lunghi e sottili, al pari dello stilo che è sormontato da stigma piatto.
Calice a campana, con cinque lobi alternati ai petali; il colore è amaranto.
Unghia dei petali breve e stretta
Boccioli gonfi e rotondi. Spuntano a inizio marzo.
Seziona longitudinale del fiore. Stami perigini e corolla polipetala, avrebbe detto de Jussieu.
L’interno del calice è incredibilmente colorato. Si distingue l’attaccatura degli stami sul bordo del calice e in fondo l’ovario supero.
Antere attaccate per il dorso al filamento; un tessuto connettivo unisce le due teche e permette al filamento di sorreggere (e nutrire) il tutto.
Lato ventrale dell’antera, si distinguono le due teche ciascuna con due sacche polliniche.
Stigma piatto; la scanalatura del carpello corre per tutto lo stilo…
…e raggiunge l’intero ovario, sembra uscita da un manuale. Avrei voluto mostrare l’ovario peloso (pelle di pesca…) ma posseggo solo foto del fiore del pesco noce.
Sezione trasversale dell’ovario; gli ovuli sono due (secati entrambi), ma solo uno sarà portato a maturazione. Ancora una volta ben visibile la traccia della scanalatura del carpello.
Sezione trasversale dell’ovario con ovuli interi.
Sezione longitudinale dell’ovario; un ovulo è secato quasi a metà.
Il frutto lo conoscono tutti, grande, sodo, succoso, dalla pelle delicata e dal sapore squisito. Foto in maggio.
In aprile conserva ancora calice e corolla, e esibisce un curioso quanto improbabile residuo di stilo.
La classica drupa compresa di buccia, polpa, nocciolo.
Il quale nocciolo è profondamente e grottescamente scanalato
La parete interna è liscia e lucente; i semi sono due, ma uno solo formato.
Due grandi e compatti cotiledoni; l’embrione è piccolo, difficili da decifrare le diverse parti.
Corteccia grigia con sfumature brune; liscia con lenticelle all’inizio poi si corruga debolmente.

Spigolature

Vi propongo una poesia di Ada Negri dall’esordio mesto, ma che si accende nella seconda parte con un repentino cambio di ambientazione. Affascina la descrizione della fenologia delle altre specie (grano, pioppi, gelsi) che ci aiuta a collocare temporalmente e non solo spazialmente l’episodio – la vera poesia è anche questo.

Campo di grano a Salboro (Padova)

Ferma al quadrivio, mentre piove e spiove
sotto l’aspro alternar delle ventate
schioccanti come fruste sulle facce
di chi va, di chi viene, una vecchietta
vende rami di pesco. O primavera
per pochi soldi! O riso, o tremolio
di stelle rosee su bagnate pietre!
Scompare agli occhi miei la strada urbana
con fango e folla e strider di convogli
sulle rotaie, e saettar nemico
d’automobili in corsa. Ecco, e in un campo
mi trovo: è verde, di frumento appena
sorto dal suolo: pioppi e gelsi intorno
con la promessa delle fronde al sommo
dei rami avvolti in una nebbia d’oro:
e peschi: oh, lievi, oh, gracili, d’un rosa
che non è della terra: ch’è di tuniche
d’angeli scesi a benedire i primi
germogli, e pronti, a un alito di brezza,
a rivolar da nube a nube in cielo.

La metrica del Pascoli è sempre entusiasmante. Riguardo alla parte botanica il poeta ci ricorda come il pesco sia da tempo naturalizzato.

Cimitero storico ebraico del Lido di Venezia.

Penso a Livorno, a un vecchio cimitero
di vecchi morti; ove a dormir con essi
niuno più scende; sempre chiuso; nero
                                        d’alti cipressi.

Tra i loro tronchi che mai niuno vede,
di là dell’erto muro e delle porte
ch’hanno obliato i cardini, si crede
                                        morta la Morte,

anch’essa. Eppure, in un bel dì d’Aprile,
sopra quel nero vidi, roseo, fresco,
vivo, dal muro sporgere un sottile
                                        ramo di pesco.

Figlio d’ignoto nòcciolo, d’allora
sei tu cresciuto tra gli ignoti morti?
ed ora invidii i mandorli che indora
                                        l’alba negli orti?

od i cipressi, gracile e selvaggio,
dimenticàti, col tuo riso allieti,
tu trovatello in un eremitaggio
                                        d’anacoreti?

Tiziano, Caduta dell’uomo, 1561, Prado. Il demonio millantando l’innocenza del bimbo offre il frutto proibito, Adamo implora prudenza, Eva si fa audace. Il melo è ritratto come un albero grande e robusto, più piccolo è il fico, che presta le foglie all’uomo, ancora più piccolo, e direi gracilino, il pesco, che con un rametto provvidenzialmente nato dal sottile tronco copre la donna. Nel quadro difficile l’interpretazione del pesco, la cui simbologia va dalla trinità celata nel frutto (è una drupa) alla redenzione dell’intera pianta; in compenso molto ben distinguibili i carattere, dal frutto alle foglie.
Una incalzante carrellata di nature morte sul tema della pesca la trovate a questo link.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.