
Morus L.
Nome imposto da Linneo nel celeberrimo Species Plantarum, Stoccolma, 1753, pagina 986 (ordo: Monoecia tetrandria). In quest’opera non compaiono i caratteri propri del genere, ci rivolgiamo perciò alla decima edizione di Systema Naturae, Stoccolma, 1759.

La pagina 1266. Calice quadripartito e corolla mancante sia per i fiori maschili sia per i femminili; pistillo a due stili (forse stigmi), un solo seme per singolo fioretto. Al terzo posto fra le specie compare un Morus papyrifera, che poi diventerà Broussonetia papyrifera per merito di Etienne P. Ventenat. Al quarto è contemplato M. rubra, un gelso nordamericano che forse sarebbe saggio tenere in maggior conto; ad esso dedicheremo prima o poi un post.
Altri riferimenti storici ci sarebbero ancora da considerare, ma per non interrompere il flusso del racconto, ho riportato il dovuto in una apposita appendice.

(1) Frutto composto(1): numerosissimi frutticini saldati assieme; (2) fioretto femminile a stigma bifido; (3) infiorescenze maschili in amenti (spighe), singoli fioretti a quattro stami; (4) spiccato polimorfismo fogliare; (5) bordo a denti irregolari.
In città, che io sappia, vivono tre specie di gelsi, due molto simili fra loro, l’altra con caratteri molto diversi dalle prime due. Accingiamoci a comporre una tabella, non prima, tuttavia, d’aver fatto una amara riflessione:
Presto il Cacciatore di Alberi impara a proprie spese che i gelsi sono un genere insidioso: riuscire a distinguere un Morus alba da un nigra è spesso un’impresa. I manuali recitano sicuri che l’alba si riconosce per i frutti bianchi, le foglie chiare, lisce e non cordate, il lungo picciolo… ma una volta sul campo si constata che per ognuno di questi caratteri esistono decine di eccezioni non solo tra pianta e pianta, ma addirittura sullo stesso albero. Basta riflettere sulla loro ‘storia occidentale’ (il nigra proviene dalle regioni orientali della Mezzaluna fertile e fu portato prestissimo dai greci nel bacino del Mediterraneo (si pensi al mito di Piramo e Tisbe), l’alba è immigrato più di recente (nel XII secolo) dall’estremo oriente per sfamare il baco) riflettere sulle loro vicende, dicevo, per capire come secoli di convivenza abbiano favorito tanti e tali incroci e contaminazioni da creare una gradualità, quasi un continuum, nei caratteri delle due specie.
Entrambe piante alloctone per quelli che, forse con mente intrisa di ideologia, amano fare queste distinzioni, ma che oggi in Italia son ritenute ‘nostrali’ avendone scandito per secoli (specialmente il bianco) il paesaggio.
| specie | tratti (fortemente) caratteristici |
|---|---|
| alba | – chioma chiara, ampia, con giovani rami lunghi e dritti – spiccato polimorfismo fogliare – pagina inferiore (della foglia) chiara con venature evidenti – gemma minuscola e rotonda – frutto insipido da giovane – frutto generalmente bianchiccio a maturazione |
| nigra | – chioma scura e globulosa; la specie non cresce molto – foglia prevalentemente intera e cordata – pagina superiore (della foglia) ruvida – gemma minuscola e rotonda – frutto aspro da giovane – frutto rosso violaceo a maturazione |
| kagayamae | – foglia prevalentemente palmata a grandi lobi appuntiti – gemma piccola e appuntita – frutto singolarmente allungato, inizialmente aranciato poi granata – frutto maturo con residui di stigmi particolarmente lunghi |
Morus alba






Morus nigra




Morus kagayamae






Piccola appendice storica

Più puntuale la descrizione dei caratteri (rispetto a quella riportata in Systema Naturae) in Genera Plantarum, Leida, 1737, pagina 283.
Alla prima riga riferimenti a Tournefort e Malpighi.

Il libro del primo, Institutiones rei herbariae, Parigi, 1700, è troppo bello per non citarlo. Tre tomi di cui due interamente di tavole botaniche. Nel comporre la foto ho preso l’illustrazione dal terzo volume, tavola 362, e il testo dal primo, pagina 589.

Malpighi, Anatome Plantarum, Londra, 1675, pagina 52, il testo, pagina 151, la figura 215 della tavola XXXV. Fiore maschile (E, F, D) (curioso che gli stami siano solo tre…) e fiore femminile (A, B). Disegni di una precisione impressionante, sono riportati persino i peli sul bordo dei tepali nel fiore femminile, frutto, di certo, di esame con un signor microscopio.
Si discute molto sull’atteggiamento di Linneo nei confronti delle illustrazioni. In questo frangente sembra di poter dire che il Nostro le accolga positivamente, poiché citando sia Tournefort sia Malpighi, egli rimanda il lettore non già ai numeri di pagina dei rispettivi testi bensì a quelli delle tavole.
(1)
Il nome ‘more di gelso’ è fuorviante. Le more dei rovi (ad esempio Rubus ulmifolius) han nome ‘frutti composti’ o ‘frutti aggregati’ perché derivano da un unico fiore (con tanti pistilli, aggregati appunto), mentre nel gelso (i cui frutti han nome ‘frutti multipli’ o ‘infruttescenze’) derivano da più fiori. Tranquilli… tutti continuiamo a chiamarli more…